Carlo
pensò che in fondo si era trattato semplicemente di un incubo. Sarebbe andato
in cucina, avrebbe preso un bicchiere d’acqua, lo avrebbe bevuto e si sarebbe
sentito subito meglio. Il cuore avrebbe rallentato, o altrimenti sarebbe
esploso, ebbe modo di pensare in quel momento, tenendo premute due dita sul
collo per controllare il battito cardiaco.
Non più tardi di una manciata di ore raccontò l’accaduto perfino a Claudia, l’analista
da cui, ormai da oltre un anno, ogni giovedì, nel tardo pomeriggio, Carlo
andava a fare quella che lui stesso definiva “una chiacchierata che tutti
dovrebbero fare, prima o poi”.
Era
estate. Tutto lasciava presupporre si trattasse di un periodo temporale
piuttosto recente. Carlo si trovava in una spiaggia, ma non sapeva dove di
preciso.
Sullo
sfondo il mare, ovviamente, la sabbia, l’odore delle creme solari e il rumore
delle canzoni estive, quel misto di rime banali e sonorità latino-americane che
entrano nella testa come tarli, nonostante la resistenza che una persona come
lui poteva opporre a quel martirio travestito da musica.
C’era
molta gente, troppa per i suoi gusti, e ancora più tatuaggi, così grandi e
realistici che sembrava possedessero una vita propria. Tigri, sirene, navi,
scheletri, pistole, labbra, gladiatori, scritte e perfino codici a barre.
Stava
leggendo un libro ma aveva grosse difficoltà nel concentrarsi, date le
circostanze. Fra una lasagna consumata a 15 centimetri dal suo naso, da un uomo
tanto grande da oscurare perfino il sole, e i continui capricci di un bambino
che faceva la pipì sotto al suo ombrellone, decise dunque di riporre il libro
nello zaino e di prendere in mano lo smartphone, mimetizzandosi così fra gli
astanti. Tutti così sudati e affannati nella difficile arte della respirazione.
Più
di qualcuno, infatti, aveva già iniziato a guardarlo con fare circospetto. Aveva
perfino sentito, aiutato dal vento che soffiava a favore del suo orecchio, una
donna riferire al marito qualcosa del genere:
-
Guarda quello, sta leggendo un libro.
Sarà uno di quei radical chic amico dei negri e degli zingari.
-
Bastardo! E’ questa la gente che rovina
il nostro paese. Se solo mi guarda, ti giuro che mi alzo e gli spezzo le
braccia – aveva risposto in modo perentorio l’uomo, come a voler
tranquillizzare la moglie.
Carlo
avrebbe voluto spiegargli volentieri che, fuori da quello che credeva essere un
sogno, le cose stavano in modo diametralmente opposto e che se c’era,
effettivamente, una persona tanto nociva in quei pochi metri di spiaggia,
quella non era certamente lui. Ma fece finta di non aver sentito nulla, ad ogni
modo, e continuò, finché ci riuscì, a leggere ancora qualche pagina di uno dei
suoi autori preferiti, John Steinbeck. Nel frattempo, fissando il bambino che
terminava di espletare i suoi bisogni a pochi centimetri da lui, gli tornarono
in mente le parole di Pasolini: “le colpe dei figli sono quelle dei padri”.
Perplesso
e amareggiato decise perciò di andare a fare un bagno. L’acqua non era
esattamente quella che sognava: fresca, cristallina e azzurra. Una melma densa
e calda, color dell’olio, gli avvolse dapprima i polpacci e poi, man mano che si
immergeva, le gambe, il busto e il collo. Pensò di lasciare fuori la testa,
qualora avesse avuto bisogno di gridare aiuto!
Ma
non ce ne fu bisogno, visto che uscì quasi immediatamente da quel groviglio di
acqua zozza, plastica e rifiuti, dove gli unici pesci rimasti erano i resti di
quelli adagiati sul fondo di un cartoccio di calamari e gamberi, di sicura
provenienza cinese, che le onde trascinavano tra la riva e il mare ripetutamente.
Una
volta riguadagnato il suo posto, rigorosamente sotto l’ombrellone, riprese in
mano il libro di Steinbeck, anche se gli sguardi intimidatori dei vicini lo
fecero desistere poco dopo. Scambiò con questi, attraverso lo sguardo, un segno
di tacito e rassegnato assenso, stringendo tra le mani il cellulare. Il suo ero
l’unico a non essere avvolto da una cover così appariscente da poter essere
riconosciuta, nel cielo, da un elicottero della polizia o, cambiando la
prospettiva, nelle profondità del mare, da un sottomarino della Marina
militare.
Mentre
buttava un’occhiata discreta alle notizie del giorno, attraverso uno dei siti
online che era solito consultare, iniziava ad avvertire una strana sensazione
attorno a sé. Così, alzando con scrupolosa accortezza lo sguardo dallo schermo,
si ritrovò una vasta platea di bagnanti che lo fissava con occhi come stregati.
Un agglomerato di vampiri abbronzati e sudici, avrebbe detto nel pomeriggio a
Claudia, mentre cercava di riannodare la sequenza precisa degli eventi.
Un
uomo smilzo e con una brutta cicatrice sulla guancia, dal vago accento di Roma est,
si avvicina e con fare minaccioso gli chiede:
-
Sei tu che leggi giornale di comunisti
che parla male di nostro futuro glorioso premier?
Carlo,
capita la malparata, provò ad abbozzare un timido tentativo di risposta, come
per discolparsi, accedendo di slancio all’app di un gioco digitale:
-
Ma io, veramente, giocavo a...
Non
fece in tempo a completare la frase che l’uomo gli si era già scagliato
addosso, come un falco in picchiata.
Fortunatamente,
sebbene non si potesse definire un “cuor di Leone”, Carlo era un ragazzo ben
allenato e piuttosto robusto, con degli addominali da far invidia a Cristiano
Ronaldo.
Lo
mise perciò K.O., abbastanza facilmente, con un
gancio sotto il mento. L’uomo cadde a terra come un sasso e l’ultima ingiuria volò
via portando con se almeno un paio di denti.
Sulla
spiaggia, per un istante, sembrò regnare l’incredulità; la musica cambiò al
punto da apparire perfetta per una pista di pattinaggio sul ghiaccio. Le
persone, stupite, rimasero a bocca aperta come scorfani pietrificati. I
bambini, sul bagnasciuga, improvvisamente si misero a fabbricare castelli di
sabbia e le tigri tatuate sulle braccia di alcuni individui presero le
sembianze di più miti gatti domestici. Il mare, perfino il mare, sembrava
d’improvviso una tavola blu cobalto, sotto la cui superficie centinaia di
specie differenti di pesci nuotavano spensierati.
Ma
si trattava, per l’appunto, di un istante. Un misero e fugace istante, sommerso
nel tempo dilatato e immane di una civiltà inerme e proto-barbarica. Carlo
questo lo aveva sempre saputo. Come un incantesimo spezzato, la musica era
tornata quella di poco tempo prima:
“Porque
mi cintura
Necesita tu
ayuda
No
lo tengo en las venas
Y
no la puedo controlar”.
I
telefoni lampeggiavano nuovamente come piste d’atterraggio; i bambini si
tiravano la sabbia negli occhi mentre i padri, bestemmiando per farli smettere,
gettavano i mozziconi delle loro sigarette nell’acqua del mare, che intanto
esalava i fumi tossici tipici di una discarica a cielo aperto.
Il
carretto passava e quell’uomo gridava: “cocco bello”.
Quando
il cuore finalmente rallentò, tornando a suoni e ritmi più miti, Carlo
continuava a chiedersi se effettivamente, quanto accaduto, potesse essere
circoscritto semplicemente al mondo dei sogni. Quel mondo inconscio e onirico
in cui inciampava in modo così intenso durante tutte le notti e che lo aveva
portato ad intraprendere il suo percorso di analisi: la maggior parte dei suoi
sogni si trasformavano, infatti, il più delle volte in incubi tetri e spettrali.
Qualcosa,
però, continuava a non lasciarlo sereno. Una sensazione di panico e
insofferenza.
Si
sforzava di ricordare.
Si
avvicinò allo specchio, per guardare in faccia le pupille degli occhi e la lunghezza
della barba. Ma non ci trovò niente di sorprendente. Niente di speciale.
Ormai
si era fatto quasi giorno e decise perciò di non rimettersi a letto, optando
invece per una doccia e per un caffè doppio, dal momento che la tachicardia
aveva smesso di tenerlo in ostaggio.
-
Sei il solito pessimista, paranoico e ipocondriaco
– gli tornarono improvvisamente in mente le parole di Bianca, la sua ex. Le ultime
che aveva ripetuto anche quando se ne andò via di casa.
Non
era passato molto tempo da quel giorno, in fondo, ma gli sembrava ugualmente
una vita.
-
Il mondo non è quello che ti immagini
tu. Vedi mostri dappertutto, Carlo, perfino in un asilo nido.
Le
loro discussioni, negli ultimi tempi, ruotavano sempre intorno a questi
argomenti.
Bianca
si riferiva soprattutto ai discorsi di Carlo sull’inopportunità di procreare in questi tempi tanto precari dal punto di
vista umano, prima ancora che economico.
-
Mettiamo al mondo figli per cosa? – le
diceva, puntualmente, come a volerla dissuadere.
Per educarli, nel migliore dei casi, ad essere forti
ed indipendenti nella vita, talmente forti e indipendenti che un giorno non si
porranno nemmeno il problema degli altri, del mondo esterno, della natura.
Saranno dei prevaricatori sociali, assetati di successo e denaro, superficiali,
con un basso livello culturale, perché la cultura costituirebbe un ostacolo
agli obiettivi che si prefisserebbero. Poi, come se non bastasse, avranno dei
gusti musicali di merda, senza ombra di dubbio.
Non
soddisfatto, rincarava perfino la dose.
-
Nel peggiore dei casi, invece, saranno
dei bambocci insicuri a cui dovremo stare appresso vita natural durante.
Dovremo trovare loro un lavoro, chiedere favori in giro, comprargli casa,
automobile. Pagargli università private, perché in quelle pubbliche
faticherebbero oltremisura. E in cambio di cosa? Di nulla. Perché ad un certo punto, dopo anni
di terapia che dovremo pagargli, ovviamente, scopriranno che la causa di tutti
i loro guai siamo noi. E a quel punto ci odieranno. È questo che vuoi tesoro?”.
Era
più o meno sempre identico il mantra che ripeteva ogni qual volta Bianca
provava ad aprire mezzo discorso sulla sua presunta voglia di maternità,
guardando le carrozzine al parco o raccontando, come fossero cartoline dalla
Provenza, la vita delle sue amiche che avevano figli e matrimoni sempre così
felici.
-
Ormai ho trentatré anni Carlo. Hai mai
sentito parlare dell’orologio biologico? Non siamo mica come voi uomini,
noialtre. Sai, le donne avvertono l’esigenza di costruire qualcosa arrivate ad
un certo punto. Tutte le mie amiche sono sposate o hanno figli e tutte, al
netto delle difficoltà oggettive che comporta questo cammino, tutte sono felici
ed entusiaste. Io me ne sbatto del tuo idealismo e delle tue elucubrazioni. Sei
il solito pessimista…
-
Paranoico e ipocondriaco
-
Si, esattamente. Vedo che hai imparato
la lezione. Comunque ti avviso Carlo: da qui in avanti o proveremo a costruire
qualcosa di più serio oppure me ne andrò di casa e non mi vedrai mai più.
Avrebbe
voluto controbattere, per l’ennesima volta, che la maggior parte dei matrimoni
felici, in realtà, per essere tali nascondono tradimenti e segreti. E che
Ilaria, la sua migliore amica e madre di due bambini, per fare carriera aveva
utilizzato tutti i metodi possibili, leciti e illeciti.
Come
faceva a saperlo? Facile, il suo capo era uno dei più cari e vecchi amici di
Carlo. Noto playboy, figlio di papà ricco e fascinoso.
Tuttavia
evitò di gettare, almeno in quella occasione, altra benzina sul fuoco e fece un
segno di assenso con la testa, ma poco convinto.
Sei
mesi. Tanto passò dall’ultimo discorso in materia, che alle sue orecchie era
suonato ovviamente come l’ennesima minaccia da ricacciare con tutte le energie.
Due
mesi dopo, come aveva promesso, Bianca se ne era andata. Sbattendo la porta,
come da copione. Da quel giorno nemmeno un messaggio o una chiamata. Niente.
Era stata di parola.
Se
tutti avessero mantenuto le promesse come aveva fatto lei, pensò Carlo nei
primi tempi della sua nuova vita da single, a quest’ora in Italia non ci
sarebbero stati più politici, giornalisti e imprenditori. Ma cosa ancora più
importante, non ci sarebbero state nemmeno più famiglie con prole al seguito.
...Continua